domenica 27 giugno 2010

agitazione ricercatori e aspetti disciplinari

Gentile professor Pagliarini,

siamo un gruppo di ricercatori dell'universita'
di Venezia intenzionati a protestare contro la
legge 1905 ritirando la nostra disponibilita'
ad effettuare insegnamenti ed attenendoci solo
ai compiti determinati per legge.
Un nostro collega pero' ci ha messo un dubbio
affermando testualmente:

scusate ma a me sembra davvero una pretesa vaga. La storia del "sostenere
solo compiti di didattica integrativa" può voler dire 'qualsiasi cosa che
il CdF decide di farci fare al posto degli Associati/Ordinari' (...ogni
cosa che ne completa un'altra è per definizione integrativa di
quest'ultima!!!)
Scusate la mia insistenza, ma continuo a credere che "interrompere" la
didattica inquadrata nei limiti della legge 382 è perseguibile (...almeno
disciplinarmente).

Potrebbe fornirci il suo parere sulla questione.

Cordiali saluti.

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cari colleghi
i compiti di didattica integrativa ai ricercatori sono obbligatori per
legge. L'affidamento di un corso di insegnamento o di un modulo è possibile
solo previo consenso dell'interessato. Il diniego del consenso non è
perseguibile disciplinarmente e tantomeno penalmente. Cordialmente
Alberto Pagliarini

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Qualcuno sa dare una definizione di "Didattica Integrativa"?
Le esercitazioni di un corso, ad esempio, sono "Didattica Integrativa" e quindi obbligatorie per un ricercatore?

Anonimo ha detto...

Le esercitazioni sono didattica integrativa e sono obbligatorie per il ricercatore.
Mentre l'insegnamento di un modulo e di un corso non è didattica integrativa, in quanto implica la titolarità di un corso/modulo, compresa la responsabilità legale delle prove d'esame. Infatti per il periodo di espletamento di quei doveri didattici il ricercatore diventa 'professore aggregato'.

Dall'applicazione della riforma Zecchino l'assegnazione della titolarità dei moduli è diventata prassi automatica nelle Facoltà, mentre un tempo non lo era affatto. Quando i corsi erano pochi, le Facoltà non mollavano così facilmente ai ricercatori l'osso di una titolarità. Ora sono costrette a farlo perché hanno moltiplicato i moduli e i corsi (in ciò indotte dalle tabelle ministeriali delle classi di laurea post-riforma Zecchino; ma anche a causa della propria bulimia didattica: infatti ogni settore disciplinare esige sempre più moduli per le proprie discipline, per marcare il territorio).

In buona sostanza il ricercatore non è assolutamente obbligato, e non lo è mai stato, ad accettare la titolarità di un insegnamento. Il limitarsi a fare le esercitazioni e le attività integrative dunque non è una agitazione o uno sciopero, come è spesso erroneamente descritto, ma l'esercizio della normale e legale funzione del ricercatore.

L'effetto sarà che se tutti i ricercatori non accetteranno le titolarità –come è loro diritto, sempre– le Facoltà saranno costrette a chiudere molti corsi per mancanza di titolari 'aggregati'.

Vi può porre rimedio il legislatore, definendo lo stato giuridico del ricercatore per dotarlo stabilmente della titolarità della docenza (dunque dandogli il titolo di 'professore').
Ma il dm attualmente in esame fa proprio l'opposto, tra le altre cose confermando la funzione di "non docente" dei ricercatori. E' possibile che il legislatore scarichi la responsabilità della chiusura dei corsi sulle Facoltà e sugli Atenei, innescando una pericolosa spirale che potrà servire al governo per indebolire ancor più l'università, portarla al collasso, e farla diventare qualcos'altro.

Anonimo ha detto...

Ma se un corso da 12 CFU è inteso come 6 CFU di teoria e 6 CFU di esercitazioni, la sua interezza è di 12 CFU (nella mia Facoltà, pari a 120 ore di insegnamento). Le attività integrative devono essere considerate al di fuori dei 12 CFU, e dunque si possono assegnare ad un ricercatore solo esercitazioni CHE VADANO AL DI LA' delle 120 ore di lezione.