martedì 27 settembre 2011

attività di consulenza con o senza vincoli?

Caro Pagliarini,

il blog rappresenta un punto di riferimento assoluto per i docenti, ma
anche per molte amministrazioni universitarie. Pertanto, ho trovato
insolito quanto riportato nella risposta inviata oggi, 26 settembre,
ad un ricercatore:
"Per il comma 10 dell'art. 6 della legge Gelmini, Il
ricercatore a tempo pieno può liberamente svolgere attività di consulenza
scientifica anche retribuita ..."

In realta' il comma citato dice qualcosa di diverso:
"I professori e i ricercatori a tempo pieno ... possono svolgere
liberamente, anche con retribuzione, ... attivita' di
collaborazione scientifica e di consulenza ..."

Insomma, e' libera l'attività di collaborazione scientifica ed e'
altresi' libera quella di consulenza (senza aggettivi che la
circoscrivano a qualche ambito), quindi consulenza scientifica, ma
anche non scientifica, ossia professionale, fermo restando che
un'attività continuativa del tipo libero-professionale e'
incompatibile con il regime di tempo pieno (ma questo e'un altro
discorso).

Non ho quindi compreso percheì introdurre, nella citata risposta, la
locuzione di "consulenza scientifica" che la legge Gelmini non
prevede. Sarebbe interessante per molti, credo, un parere al riguardo.

Molti ringraziamenti per il blog e cari saluti,

Antonio Occhiuzzi

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caro collega
la mia interpretazione scaturisce dal combinato disposto del comma 10
dell'art. 6, la cui formulazione letterale consente l'attività di
consulenza retribuita per i docenti a tempo pieno, con il comma 9 dello stesso articolo che recita "L'esercizio di attività libero-professionale è incompatibile con il regime di tempo pieno".
Il legislatore ha, quindi, escluso la libera attività professionale, per
incompatibilità, ed ha invece concesso la libera attività di consulenza
senza alcun vincolo,stante la formulazione letterale del comma 10. E' evidente un non senso e una palese contraddizione, se così fosse, poiché la libera attività di
consulenza,senza vincoli, è libera attività professionale. Pertanto, nella spirito che permea tutto il comma 10, in cui sono espressamente previsti vincoli alle
attività consentite liberamente quali: attività occasionale, attività di collaborazione, ma solo scientifica, ed altri, è logico, razionale, giusto, giuridicamente valido e accettabile che anche l'attività di consulenza debba
essere in qualche modo vincolata come l'attività di collaborazione
scientifica e, pertanto, debba essere limitata all'attività di consulenza
scientifica.
Certamente la formulazione del comma 10 non è corretta perché in evidente
contrasto con quella del comma 9. Per evitare il contrasto la formulazione
esatta sarebbe dovuta essere " attività di collaborazione e/o di consulenza scientifica" , o meglio ancora "attività scinetifica di collaborazione e di consulenza".
Sono convinto che qualsiasi TAR darebbe l'interpretazione
predetta perché l'inciso tra due virgole, ",attività di collaborazione
scientifica e di consulenza," sottintende la locuzione scientifica anche
per la consulenza. Non ci sarebbe stato alcun dubbio, invece, se il
legislatore avesse scritto "attività di consulenza scientifica, attività di
consulenza". Con questa formulazione non ci sarebbero stati vincoli per la libera attività di consulenza ma sarebbe rimasto l'evidente contrasto con il comma 9. Questa è la mia interpretazione. Ciascuna sede darà la sua nell'applicare i commi 9 e 10, Sono convinto che tutte, o la gran parte delle sedi, porranno qualche vincolo alla libera attività di consulenza, anche per garantire che l'attività sia svolta nel rispetto degli obblighi istituzionali dei docenti, il che può non avvenire se l'attività di consulenza è libera, continua, di qualsiasi tipo, perché senza
alcun vincolo limitativo e. per ciò stesso, può diventare libera attività
professionale, quindi incompatibile con il tempo pieno. Cordialmente
Alberto Pagliarini

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Prof. Pagliarini,
concordo appieno con l'obiezione del collega. Sinceramente non comprendo questo suo insistere nel voler limitare l'attività di consulenza alla sola consulenza "scientifica". La legge Gelmini è infatti chiarissima nel parlare "collaborazione scientifica e di consulenza". Non vedo come si possa estendere l'attributo "scientifico" alla consulenza. Questa potrà infatti essere anche di tipo tecnico, editoriale, etc. Resta fermo - certamente - il vincolo dell'impossibilità di svolgere attività continuativa (= avere partita IVA), ma questo è un'altro discorso.

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo,
l'interpretazione è troppo restrittiva e palesemente forzata. La legge consente lo svolgimento di attività di "collaborazione scientifica" - e - di "consulenza". Peraltro non si capisce come emanandi regolamenti locali possano essere più restrittivi in tal senso. Non può certo un regolamento locale negare un diritto che è sancito per legge.

Anonimo ha detto...

Se è concesso proporre qualche osservazione, direi che - da modesto giurista - l'interpretazione forzata sul rapporto necessario tra consulenza e natura scientifica della stessa mi pare eccessiva.
Ora, è ben vero che non può essere in alcun modo consentito l'esercizio di attività libero professionali ai docenti a tempo pieno, ma il problema risiede in tutt'altro luogo, come già evidenziato in alcuni commenti. Risiede cioè innanzitutto nella continuatività di tali attività; fuori da questo ambito, mi parrebbe del tutto illegittimo un qualsiasi provvedimento regolamentare che tenda a limitare o - peggio - a tentare di introdurre procedure di "autorizzazione" per lo svolgimento di attività consulenziali confinate nell'occasionalità (questo, ripeto, è il punto fermo).
Quanto alla "scientificità" o meno alla quale è subordinata l'attività di consulenza, ancora una volta in senso restrittivo, si può anche cogliere l'osservazione di Chi, in precedenza, nota come le consulenze editoriali, etc., non fanno parte dell'attività propriamente scientifica del docente; ma mi chiedo se sia in qualche modo preventivabile, nella maggior parte dei casi, una richiesta di consulenza ad un docente per materie "non scientificamente orientate" sul proprio settore. Qualcuno mi può anche chiedere una prestazione di consulenza in tema di cemento armato, ma, occupandomi io di diritto civile, lo farà bene a suo rischio ... Voglio dire: alla fine, la quasi totalità delle attività di consulenza è confinata nelle proprie competenze "scientifiche", quindi il problema torna ancora al nocciolo, costituito dall'occasionalità necessaria, ed escludendo la continuità, che è l'unico fattore potenzialmente dannoso nei riguardi delle attività istituzionali, che debbono sempre prevalere nelle considerazioni di un docente a tempo pieno.
Se si vuol guardare al nono comma dell'art. 6 in questione, nei rapporti con il comma successivo, non c'è alcuna contraddizione, poichè non solo nella l. 240/2010, ma in tutto il sistema ordinamentale del nostro Paese è chiaramente delineato cosa si intende per "attività libero-professionale": è l'attività connotata da continuità, organizzazione, etc., come tale assoggettata a determinate regole fiscali, a regimi protetti per certi settori (un esempio: il docente a tempo pieno di diritto commerciale non può esercitare l'attività "protetta" di avvocato; potrà però certo, occasionalmente, formulare un parere - scientifico - su un tema di sua competenza...). E, non a caso, la stessa legislazione disciplina puntualmente gli aspetti contributivi e fiscali anche delle prestazioni occasionali, nel cui ambito debbono collocarsi queste attività "consulenziali".
Diciamola tutta: se i responsabili delle strutture, invece di ponzare su regolamenti illegittimamente restrittivi (per cosa? Per una o due prestazioni - oltretutto spesso confinate nei propri ambiti scientifici - all'anno) si preoccupasssero di verificare (basta una segnalazione alla GdF, per esempio) che certi tempopienisti usano le strutture delle Università come sala d'attesa per attività mascherate da prestanome, o che altri svolgono bellamente attività continuative nei propri studi, forse sarebbe meglio per tutti.
Ed è meglio che ci arrestiamo a queste poche considerazioni ...

Anonimo ha detto...

Anche per quanto riguarda la possibilità di avere la partiva IVA, ritengo che la posizione del divito assoluto sia non corretta.
La partita IVa è connessa ad un obbligo di tipo fiscale, ed esprime la correttezza fiscale del contribuente in relazione alla tipologia di lavoro autonomo svolto (qualità e quantità). Poniamo il caso che un docente a tempo pieno svolga 5/6 incarichi ogni anno a favore della magistratura (CTU e perizie) ovvimamente tutte ovviamene autorizzate dal proprio CdF (anceh secondo la vecchia normativa). Se si limita a rilasciare ricevute per attività occasionale e quindi fuori campo IVA di fatto evade la relativa imposta sul valore aggiunto non essendo alla stessa sottoposto. Avere in questo caso ed in casi simili la partita IVA evidenzia quindi di sicuro una posizione corretta da parte del contribuente e non una violazione della normativa sul tempo pieno.

Anonimo ha detto...

sul tema partita iva e ricercatori a tempo determinato (RTD) a me continua a non risultare chiaro se di fatto sia impossibile averla o no. nei fatti occasionali o contratti a progetto, a mia conoscenza le uniche due tipologie possibili, nella sostanza non cambiano le cose. Se il vincolo o paletto che deve provenire dagli Atenei dovrebbe limitare il tempo dedicato ad attivitá extra-accademiche, non é togliendo la possibilitá di avere una P.I. che raggiungono questo obiettivo. il mio ateneo, al momento, se concede nulla osta, di fatto non sindaca né sul numero di ore né sui compensi -che vengono richiesti- ma fa intendere che "sarebbe meglio" no avere la p.i. qualcuno mi da qualche indicazione. Non capisco in particolare quali siano i rischi nel caso si svolga quanto la Gelmini permette di svolgere ma CON p.i. anziché con cocopro. grazie