Caro Pagliarini,
Che cosa pensa lei del'art. 18 lettera b, ultimo periodo, e lettera c? (parenti e affini fino al quarto grado)
In pratica, se per struttura chiamante si intende l'intera Scuola, si preclude la possibilità di intraprendere la carriera universitaria a tanti giovani che, magari senza neanche saperlo, hanno un lontano parente incardinato nella stessa Scuola.
Cordiali saluti,
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caro collega
l'ultimo periodo del punto b), comma 1 dell'art. 8, non consente "la partecipazione alle procedure per la chiamata a coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, sino al 4° grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente il consiglio di amministrazione dell'ateneo". Pertanto la parola "struttura" va sicuramente riferita alla facoltà o altro organismo che può effettuare la chiamata, non può essere riferita a tutta l'università perché, se così fosse, il legislatore non avrebbe ulteriormente specificato "ovvero con il rettore........". Pertanto un parente può partecipare alle procedure per la chiamata da parte di un dipartimento o una facoltà diversa da quella cui afferisce il professore parente. Ritengo necessario fare qualche considerazione sul perché il legislatore ha inteso introdurre lo specifico veto. Certamente non per capriccio legislativo o per un pregiudizio verso la categoria dei professori universitari. Il legislatore lo ha fatto perché la degenerazione del fenomeno parentopoli e affinopoli, ha dato spesso materia di cronaca scandalistica e giudiziaria a tanti giornalisti e scrittori, anche docenti, che hanno pubblicato volumi in materia. E' vero che il fenomeno predetto non è esclusivo solo del comparto dei professori universitari, essendo diffuso in tanti altri comparti, magistratura, ministeri, notariato ecc., tanto da essere endemico in questo anomalo Paese. Ma è anche vero che, per l'enfatizzazione data dalla stampa agli scandali universitari, l'opinione pubblica è rimasta scioccata e, per una incontrollabile immaginazione collettiva si è convinta che il fenomeno coinvolgesse tutta l'università e tutti i concorsi. Non è così, ovviamente, perché nell'università ci sono sempre stati, ci sono e ci saranno, tanti docenti che compiono pienamente il loro dovere istituzionale anche sotto il profilo etico sociale. Tuttavia la vecchia immagine del professore universitario, avvertita dalla collettività come Uomo di alta cultura, di sapere di vecchia e nuova conoscenza, che prepara e forma le nuove generazioni all'esercizio delle professioni e, per l'immaginario sociale anche sotto il profilo etico e comportamentale, è stata cancellata o, quanto meno, sbiadita. Per questo ritengo che il legislatore non poteva fare diversamente nell'interesse stesso dell'Istituzione universitaria, dei suoi docenti e dell'intero Paese. Anche per questo ritengo che la legge Gelmini non sia tutta da rigettare, come è stato detto, essendoci elementi accettabili e necessari. Si poteva far di meglio, ma è sicuramente un passo avanti verso una vera riforma che elimini il valore legale del titolo di studio e le connesse conseguenze in termini di autonomia vera, di responsabilità, di concorrenza reale e salutare tra le sedi. Per il bene del Paese è' auspicabile che in ogni altro comparto dell'organizzazione sociale si pongano veti, come quelli introdotti nell'università, per limitare le diffuse anomalie etico sociali. Questo è il mio pensiero che, da decenni, in ogni occasione ho sempre esposto, purtroppo, senza risultati. Vedremo quali risultati produrrà la norma limitativa predetta. Cordialmente
Alberto Pagliarini
sabato 5 febbraio 2011
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4 commenti:
Non vi pare anomalo che il legislatore parli solo di "parenti" ed "affini" ed abbia dimenticato i coniugi?
Non sarà stata una dimenticanza ... E' ovvio che le persone si conoscono e si sposano condividendo le stesse passioni (quella per lo studio e la ricerca, poi, è una condizione esistenziale, più che un mestiere). Penalizzare i coniugi è normazione anticostituzionale (tutela della famiglia). La stortura sta nell'aver inserito (con un emendamento passato sull'onda del populismo) l'affinità, che è conseguenza del coniugio.
Il Consiglio di Stato ha posto finalmente fine al problema. Vergognatevi, siete la rovina dell'Italia!
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Cons. Stato Sez. VI, 04-03-2013, n. 1270
G.A. c. Università degli studi di Teramo e altri
L'art. 18, comma 1, lett. b) e c), legge 30 dicembre 2010, n. 240, che stabilisce che ai procedimenti per la chiamata dei professori di prima e seconda fascia, per il conferimento degli assegni di ricerca e per la stipulazione dei contratti da ricercatore a tempo determinato, non possono "partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell'ateneo", deve essere interpretato in modo costituzionalmente orientato nel senso che si trovano in posizione di incompatibilità anche coloro che sono legati da rapporto di coniugio con uno dei soggetti indicati nella disposizione citata. Non prevalendo il matrimonio sul principio di eguaglianza e su quello di imparzialità amministrativa, nessun rilievo in contrario può avere l'argomento per cui si tratterebbe di una scelta del legislatore che intende tutelare il matrimonio, salvo assumere che il biasimevole, ma non infrequente, fenomeno detto del familismo universitario vada addirittura istituzionalizzato.
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