lunedì 22 luglio 2013
riconoscimento assegni ricerca nella ricostruzione di carriera
Gent.mo Prof. Pagliarini,
ritorniamo di nuovo sulla questione riconoscimento degli assegni di ricerca
ai fini della ricostruzione di carriera.
Siamo 3 ricercatori dell’Università di Perugia. Ultimamente il TAR
dell’Umbria ha respinto il nostro ricorso (e quello di almeno altre 2
persone) per la richiesta di riconoscimento degli assegni di ricerca al fine
della ricostruzione della carriera.
Le inviamo in allegato le nostre sentenze (sentenza xxxxxxxxxx.doc, sentenza
xxxxxxxxxxxx.doc, sentenza xxxxxxxxx.doc ).
Tenga conto che un altro ricercatore del nostro stesso Ateneo che ha invece
fatto un Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per la stessa
motivazione, ha ottenuto un parere favorevole all’accoglimento del ricorso
da parte del Consiglio di Stato. Le mandiamo in allegato il parere in
questione (parere_CDS_3250_2010.doc).
Visto le numerose sentenze favorevoli menzionate nel suo blog, pensavamo di
ricorrere al Consiglio di Stato. Ci farebbe molto piacere avere un suo
parere sulla fondatezza delle motivazioni del TAR dell’Umbria e, se
possibile, un consiglio sull’opportunità di continuare l’azione legale.
La salutiamo cordialmente e La ringraziamo per il suo prezioso lavoro che è
sempre di grande aiuto per la nostra comunità.
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cari colleghi
le sentenze del TAR Umbria creano davvero una Babele
giurisprudenziale. TAR di diverse regioni hanno da tempo emesso
sentenze favorevoli; vi sono due decisioni del Consiglio di Stato
favorevoli, emesse nel 2007; vi è il parere favorevole espresso il
12/1/2011 dal Consiglio di Stato su un ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica; vi è una realtà del diritto di
riconoscimento degli assegni di ricerca nella ricostruzione di
carriera messa in atto da quasi tutte le sedi universitarie italiane,
da più o meno tempo; vi sono pareri favorevoli espressi da diversi
organismi superiori. In siffatta realtà di riconoscimento di un
diritto, operante da anni, un TAR va controcorrente, ignorando tutto e
nelle sentenze emanate afferma "che trattasi di previsione comportante
rilevanti oneri di spesa per le finanze pubbliche". Ma questa spesa è
già da anni in carico alle finanze pubbliche di quasi tutte le
università! Quindi il carico complessivo di tale spesa non può
ritenersi rilevante perché al carico già in atto si aggiunge solo
quello di un'altra sede. Se a quanto sopra si aggiungono le
motivazioni di fatto e di diritto espresse dal TAR per respingere il
ricorso, motivazioni a dir poco illogiche e irrazionali, si addiviene
alla conclusione che la sentenza va impugnata al Consiglio di Stato,
anche per motivi di incostituzionalità, perché un diritto già
riconosciuto a quasi tutti i docenti delle università italiane, non
può non essere riconosciuto solo a quelli di una università. In uno
stato di diritto siamo all'assurdo di un diritto riconosciuto a molti
e non a pochi soggetti giuridici uguali.
Questo è il mio parere. Cordialmente
Alberto Pagliarini
domenica 14 luglio 2013
possibilità di doppia affiliazione con impegno a tempo definito, tra università straniera e università italiana
Gentilissimo Prof. Pagliarini,
anche dall'estero seguo con interesse e sincero apprezzamento il suo blog che fornisce utili delucidazioni sul funzionamento
del sistema accademico italiano.
Le scrivo sperando di trovare un chiarimento sulla possibilita' di mantenere doppia affilizione tra universita' Italiana e universita' straniera con impegno di lavoro part-time in entrambi gli istituti
1) Sono un docente universitario (Associate Professor/Reader) presso un' Universita' straniera
2) A seguito di vittoria di concorso (comprendente possibilita' di "trasferimento" da atenei italiani o stranieri) e conseguente nomina da Professore Associate presso un Ateneo Italiano, sto valutando la possibilita' di mantenere doppia affiliazione, come ormai prassi sempre piu' comune a livello internazionale, assumendo in entrambe le universita' un impegno di lavoro part-time non superiore al 50%.
3) Ho gia' discusso della cosa presso la mia universita' di appartenenza all'estero e mi hanno dato approvazione in principio, confermando che la cosa sia assolutamente fattibile (una volta messo in regime di part-time in sostanza non ci sono in quell paese vincoli al tipo di attivita' lavorativa nel tempo residuo a disposizione a patto di non superare il limite orario settimanale di ore, dunque in situazioni di 50-50 60-40 o similari).
4) Del resto la legge Gelmini"n. 240 del 30/12/2010 all'Art 6 comma 12 sembra consentire la cosa, a patto di essere a regime di tempo parziale (o tempo definito in termini accademici, cioe' al 50% dell'impegno a tempo pieno).
"I professori e i ricercatori a tempo definito ... possono altresì svolgere attività didattica e di ricerca presso università o enti di ricerca esteri, previa autorizzazione del rettore che valuta la compatibilità con l'adempimento degli obblighi istituzionali"(art.6, comma 12)"
5) Putroppo invece facendo seguito a discussione con ufficio personale dell'Ateneo Italiano, prima della presa di servizio non ancora avvenuta, mi si e' detto che la cosa non sarebbe possibile alla luce del divieto di cumulo di pubblichi impieghi secondo la legge '57.
Il personale amministrativo sostiene che "incarichi" posso essere consentiti ma a patto di non costituire lavoro subordinato. In altri termini dovrei dare le dimissioni dalla mia posizione a tempo indeterminate presso l'universita' straniera ed eventualmente mantenere rapporti di collaborazione occasionale ad incarico.
In realta' l'ufficio fa riferimento ad una frase del regolamento interno in cui si dice "ferma la disciplina in material di divieto di cumulo di impieghi pubblici o private alla normative vigente". Tale frase del resto indica semplicemente che si deve fare riferimento alla normative vigenti, non che non ci sia possibilita' di cumulo di impieghi pubblici o private in ogni circostanza.
6) Per essere precisi la condizione di "senza vincolo di subordinazione" per svolgere funzioni di didattiche e di ricerca presso enti publici o private e' esplicitamente menzionata solo (per ovvi motivi) per il professore in regime di tempo pieno:
All'art 6 comma 10:
......I professori e i ricercatori
a tempo pieno possono altresi' svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonche' compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purche' non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l'universita' di appartenenza, a condizione comunque che l'attivita' non rappresenti detrimento delle attivita' didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall'universita' di appartenenza. (art 6 comma 10)
Tra l'altro la legge prevederebbe art 6 comma 1 la stipula di convenzioni tra universita' per professori a tempo pieno per attivita' di didattica e ricerca.
7) Non e' un caso che la stessa frase nel caso di professori a tempo definito (art 6., comma 12) sopramenzionato non preveda la condizione "senza vincolo di subordinazione".
8) Ho fatto qualche ulteriore ricerca e sembra infatti che negli scorsi anni a partire dalla lege del '57 ci siano stati significativi cambiamenti in termini di incompatibilita' in particolare per quanto riguarda posizioni con impegno PART-TIME, per le quali sono state introdotte una serie di deroghe alle incompatibilita 'di base
Allego un estratto di un sommario molto interessante dal seguente link:
http://www.unipi.it/ateneo/personale/t-a/formazione/attivita/busico.doc (si vedano Appendici normative)
5. Deroghe soggettive al regime delle incompatibilità: il personale in part-time c.d. ridotto
Accanto a deroghe oggettive al regime delle incompatibilità per il pubblico dipendente, l'attuale ordinamento (art.1, commi 56-58 bis della legge 23 dicembre 1996, n. 662, richiamato dall'art.53 del D.lgs. n. 165 del 2001) prevede deroghe soggettive a favore del personale in part-time c.d. ridotto (vale a dire con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno) .
L'art.53, comma 1 del D.lgs. n. 165 prevede, infatti, che "resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall' articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662".
Il successivo comma 6 dell'art.53 aggiunge che "i commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui all'articolo 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali".
Sul tema delle incompatibilità ed il loro superamento per il personale in part-time, cfr.: D'ANTONA, Part-time e secondo lavoro dei dipendenti pubblici, in Giorn. dir. amm., 1997,123; GUARISO, Incompatibilità del pubblico dipendente: l'impossibile quadratura del cerchio, in Riv. crit. dir. lav., 1997,701; SANTUCCI, Il lavoro part-time, in CARINCI-ZOPPOLI (a cura di), Il lavoro nelle pp.aa., Torino, 2004,602.
Le sarei molto grado se mi potesse dare un parere in merito alla compatibilita' e possibilita' di assumere una jointed position, in stile internazionale, tra una unviersita' italiana ed una straniera, con un impegno a tempo a ringrazio in anticipo per l'attenzione e per l'eccezionale servizio di informazione e supporto che sta dando da anni nel settore.
Distinti Saluti,
xxxxxxxxxxxxxxxxxx
Molti colleghi a livello nazionale si sono mostrati entusiasti alla cosa, ed interessati alla possibilita' di vedere un chiarimento nella direzione, immagino anche voluta dal legislatore, di internazionalizzare del sistema universitario italiano.
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caro collega
il funzionario che ha espresso in modo dogmatico la sua
interpretazione sulla non applicabilità dell'art. 6 comma 12 della
legge Gelmini, ha, di fatto, reso inefficace e inapplicabile una norma
contenuta in una legge dello Stato che, per un principio generale,
deve essere applicata e rispettata da tutti. Infatti, con la sua
interpretazione di agganciare quella norma alla legge 57 che vieta il
cumulo di impieghi per il pubblico dipendente e a un regolamento
interno che non ha forza di legge, il funzionario ha, forse senza
rendersene conto, ritenuto errata la norma predetta, perché non
applicabile ai docenti a tempo pieno, non citati nella norma, non è
applicabile neppure ai docenti a tempo definito, espressamente citati
nella norma, quindi non è applicabile a nessun docente. Ma, allora,
per renderla applicabile Il legislatore avrebbe dovuto revocare la
legge 27 sul cumulo? Non lo poteva fare essendo la legge 27 una legge
di carattere generale che regolamenta tutto il pubblico impiego. Il
legislatore avrebbe dovuto specificare "in deroga alla legge
27......"? Non lo poteva fare per evidenti motivi di
incostituzionalità. Dov'è l'errore. Aver agganciato quella norma alla
figura tipica di un pubblico dipendente, alla quale appartiene anche
il docente a tempo pieno. Con ciò ignorando che il docente a tempo
definito è una figura giuridica atipica del pubblico impiego il cui
rapporto di lavoro è regolato da norme diverse da quelle valide per
il pubblico impiego e per i docenti a tempo pieno. E' sufficiente
ricordare che i docenti a tempo definito possono addirittura essere
titolari di partita IVA ed esercitare libera attività professionale,
cosa non consentita ai docenti a tempo pieno e ai pubblici dipendenti
che possono esercitare attività professionale solo ottemperando a
precisi limiti, vincoli autorizzativi e procedure fissate da apposite
norme.
In conclusione, caro collega, parli ancora una volta con il
funzionario e chiarisca i termini della questione secondo gli
intendimenti sopra espressi. Se vuole può utilizzare anche questa mia
risposta. Se il funzionario persiste nella sua errata interpretazione
della norma, non resta che rivolgersi alla giustizia amministrativa
che, sicuramente, dichiarerà illegittima la non applicabilità
dell'art. 6 comma 12. Purtroppo, questo è uno dei mali della nostra
burocrazia, quello che io ho chiamato "certezza della potenza
burocratica", certezza che, in alcuni casi, diventa vero e proprio
abuso di potere. Cordialmente
Alberto Pagliarini
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